di Luca Meringolo
Intervista a tu per tu con uno dei più grandi calciatori della storia del calcio. Sto parlando naturalmente di Ruud Krol. Un difensore polivalente, capace di ricoprire ogni zona del campo. Forte fisicamente, insuperabile nell’1 vs 1, bravo di testa e capace anche nell’impostare l’azione offensiva. I trofei vinti in carriera parlano per lui: 6 Campionati Olandesi, 4 Coppe dei Paesi Bassi, 3 Coppe dei Campioni, 1 Supercoppa Europea e 1 Coppa Intercontinentale. Protagonista anche della Grande Olanda degli anni 70, denominata “Arancia Meccanica”, in riferimento alla celebre pellicola realizzata da Stanley Kubrick. La formazione Orange sfiorò 2 volte il titolo Mondiale, perdendo le finali contro Germania Ovest nel 1974 e Argentina nel 1978 (da notare come le vincitrici fossero le organizzatrici di entrambe le manifestazioni).
Come si è avvicinato al calcio Ruud Krol?
K: “Come tutti i giovani giocando per strada. Da piccolo guardavo il Mondiale in
televisione e mio padre è stato anche un buon calciatore. Sono cresciuto così”.
È vero che lei doveva cominciare da terzino destro ad inizio carriera?
K: “Prima giocai come centravanti, poi tornai a centrocampo. Divenni poi difensore centrale, ma successivamente l’Ajax ebbe bisogno di un terzino sinistro e Michels mi fece giocare lì. Ma io giocai pure a destra quando Michels mi riteneva più adatto lì, contro un determinato avversario, ma non capitava sempre. Poteva capitare 1-2 volte all’anno”.
Rinus Michels la portò in prima squadra. Come lo descriverebbe come allenatore?
K: “Un allenatore molto duro. Con lui cominciai il calcio professionistico in Olanda. Ci fece lavorare duramente. Ricordo che c’erano 10 ragazzi nati tutti ad Amsterdam. Per noi era veramente un piacere allenarci così, ma il lavoro era veramente duro”.
Quali furono le rivoluzioni che portò il vostro calcio, rispetto al periodo
precedente?
K: “L’Ajax perse la prima finale di Coppa dei Campioni nel 1969 contro il Milan per 4-I rossoneri giocavano con il “Catenaccio” e lui voleva creare uno stile tattico di gioco offensivo in grado di poter scardinare quel muro. Tutte le zone del campo dovevano essere occupate e in questo modo riuscimmo a creare spazio. Se perdevamo il pallone, doveva subito esserci il pressing sull’uomo avversario. Non dovevamo concedere il tempo di fare un contrattacco”.
Cosa ricorda del suo esordio tra i professionisti?
K: “Fu un piacere perché eravamo una grande squadra. All’epoca ci divertivamo. Certo, ci sono stati anche i momenti tristi, ma abbiamo sempre ottenuto i risultati. Se si lavora duramente i risultati arriveranno sempre. Magari arriveranno dopo 3/4/5 mesi, ma alla fine giungeranno. Come ad esempio il Napoli in questa stagione. Con il duro lavoro sta ottenendo i risultati meritati”.
Nel 1971 l’Ajax vinse la prima Coppa dei Campioni. Cosa ricorda di quella
stagione? Tra l’altro lei era infortunato alla finale…
K: “Sì, mi ero infortunato alla gamba in semifinale di Coppa D’Olanda. Giocai la gara d’andata valida per le Semifinali di Coppa dei Campioni, in trasferta contro l’Atletico Madrid, ma non disputai il match di ritorno in casa. Fu durissima, perché avevo paura che non potesse ricapitare un’altra finale all’Ajax. Tutti volevano giocare in Finale di Coppa dei Campioni, in un grande stadio. Michels però volle che io andassi in ritiro con la squadra, perché comunque avevo dato tanto. Vidi la partita allo stadio e fu un divertimento perché vincemmo contro il Panathīnaïkos”.
Quali furono i meriti di Kovács capace di proseguire brillantemente il lavoro di Rinus Michels? Chi preferiva tra i due?
K: “Kovács arrivò dopo 5 anni di duro lavoro con Michels, con il quale avevo lavorato per tanti anni ed era sempre stato un lavoro in crescendo. Kovács ci ha dato più libertà di esprimerci in campo, rispetto a Michels che ci aveva disciplinato. Noi ci sentivamo fisicamente non al top, parlammo con Kovács e lui capì le esigenze fisiche della squadra. Noi eravamo abituati ad essere sempre fisicamente al top, solo così puoi esprimerti al massimo. Successivamente dopo un mese di lavoro tornammo ad essere fisicamente nuovamente al massimo”.
Nel 1972 l’Ajax vinse tutto quello che c’era da vincere. Cosa ricorda di quella stagione e in particolare della vittoria sull’Inter?
K: “La vittoria sull’Inter per noi fu un qualcosa di diverso. Giocammo la finale nello stadio di Rotterdam e nella città della nostra grande rivale, il Feyenoord. Era una finale prestigiosa contro l’Inter e noi volevamo vincere a tutti i costi. In quella stagione vincemmo tutto, ma quella con i neroazzurri fu la vittoria più grande”.
Nel 1973 l’Ajax vinse la terza Coppa dei Campioni consecutiva. Cosa ricorda del successo sulla Juventus?
K: “Giocammo la finale a Belgrado.Noi eravamo abituati al clima olandese con una temperatura molto bassa. Invece a Belgrado c’erano 30 gradi. Ci furono difficoltà anche nel primo allenamento a causa della temperatura. Non giocammo bene come al solito, ma nonostante ciò vincemmo contro la Juventus. Dimostrammo di essere ancora la squadra più forte in quel momento”.
Di quegli anni è celebre anche il 6-0 rifilato al Milan in Supercoppa Europea. Cosa ricorda di questa fantastica vittoria?
K: “Noi perdemmo 1-0 all’andata contro il Milan e vincemmo 6-0 al ritorno. Il Milan era una squadra più “anziana” di noi. Ricordo che c’erano calciatori esperti come Schnellinger, mentre noi eravamo più giovani. Volevamo vincere la prima Supercoppa Europea, in più per noi era una rivincita con i rossoneri, dopo la sconfitta in Coppa dei Campioni nel 1969″.
Come descriverebbe come persona e come calciatore Johan Cruijff?
K: “Lui è stato veramente un grande calciatore. Era il più grande in quell’epoca. Una grande persona. Rappresentava il volere dei vari allenatori in campo. Nel gruppo non ci furono mai problemi, ci furono solo confronti con l’obiettivo di vincere”.
Mondiali 1974. L’Olanda dimostra di essere una grande squadra capace di praticare un gioco eccezionale. Cosa è mancato per vincere il Mondiale contro la Germania Ovest? Perché Johan Cruijff venne ammonito dall’arbitro a fine primo tempo?
K: “La base della squadra era quella dell’Ajax, poi c’erano 3/4 che si adattarono al nostro modo di giocare. Ci furono delle difficoltà legate al portiere, perché il titolare fece un’incidete in macchina e il secondo dovette operarsi al menisco durante il ritiro. Michels decise di far giocare un altro portiere. Lui militava nell’FC Amsterdam ed era bravo a giocare fuori dalla sua area. Facemmo tanti allenamenti duri con Michels e le difficoltà non mancarono. Ricordo che, dopo il ritiro, perdemmo 2-0 contro una squadra della seconda divisione della Bundesliga, ma successivamente, dopo 3 giorni di libertà, vincemmo 4-0 contro l’Argentina. Si vedeva che la condizione fisica stava crescendo. Eravamo contenti di essere arrivati in Finale, anche perché l’Olanda non c’era mai arrivata. Fu veramente un peccato. Ricordo che Rensenbrink non stava benissimo. Secondo me non c’era il calcio di rigore assegnato alla Germania, Cruijff protestò con l’arbitro e venne ammonito. Il secondo tempo trovammo un Maier che disputò la sua più grande partita della carriera. Anche se dopo l’1-0 non riuscimmo ad esprimerci come al solito. Ci furono un po’ di problemi con il terreno duro. Avevamo l’abitudine di innaffiare il campo, esattamente come si fa oggi”.
Nel 1974 è diventato capitano dell’Ajax, cosa ha significato per lei?
K: “Io ero uno dei calciatori che aveva militato per più tempo con l’Ajax e molti calciatori erano andati via. Per me fu una cosa naturale. Con i 3/4 calciatori più esperti ci si rivolgeva al Presidente e all’allenatore e tutte le decisioni venivano prese insieme”.
Europeo 1976, anche lì, che cosa è mancato per vincere anche questo
riconoscimento?
K: “Giocammo la semifinale contro la Cecoslovacchia. C’era brutto tempo e ricordo che avemmo dei problemi con l’arbitro Thomas. Non giocammo bene come al solito e non riuscimmo ad esprimere le nostre qualità. Poi ci fu un’altra situazione durante il ritiro. L’allenatore venne mandato via, poi tornò, insomma tutto questo creò molta più confusione. Giocammo la finale del 3/4 posto e vincemmo contro la Jugoslavia. Ricordo che Cruijff e Neeskens non giocarono quella partita perché vennero squalificati nella partita precedente”.
Mondiali 1978, ancora una volta Olanda in Finale. L’arbitraggio di Gonella non fu dei più felici. Con un altro fischietto, ad esempio Károly Palotai, sarebbe andata diversamente?
K: “Sì, ma anche con l’arbitro Klein. Lui doveva arbitrare la finale, ma la Federazione Argentina protestò perché credeva che Klein avesse favorito l’Italia nella vittoria contro l’Argentina nel girone. Se ti comporti così non capisci di calcio. Poi venne ad arbitrare Gonella. Klein invece fu un grande arbitro. Ricordo che l’anno successivo arbitrò la partita tra Argentina e Resto del Mondo. In questa partita espulse Tardelli. Poteva prendere decisioni forti, ma le sue valutazioni erano corrette”.
Come mai ad un certo punto della sua carriera si spostò dalla fascia al centro?
K: “Dopo il 1975 Michels tornò dal Barcellona all’Ajax e perdemmo per 6-2 contro il PSV. Mi convocò il Lunedì mattino successivo nel suo ufficio. Mi disse che in quel momento non potevo più giocare terzino, ma dovevo tornare al centro, in modo da poter organizzare la difesa”.
Come mai nel 1980 lasciò l’Ajax e approdò in Canada?
K: “Volevo andare a giocare all’estero. Ricevetti delle offerte da Real Madrid, Arsenal e Psg. Ricordo che cambiò il presidente dell’Ajax, ma lui non voleva vendermi. Ebbi anche un primo contatto con il Milan, ma la Federazione Italiana non aprì le frontiere per gli stranieri. Parlai anche con Torino, Roma, Fiorentina e Napoli. Dopo 13 anni di Ajax volevo partire. Non avevo più motivazioni per giocare in Olanda. Ricordo la mia ultima partita in Canada, con il Vancouver Whitecaps perdemmo il play-off contro il Seattle Sounders”.
Napoli, quale fu l’impatto con la città, i tifosi e i compagni?
K: “Napoli conquistò il mio cuore e il mio amore. Avevo già giocato a Napoli,
militando nell’Ajax o con la mia Nazionale. Ma non avevo mai vissuto la vita della città di Napoli. Ho una grande passione per questa città e lì mi sono emozionato molto. I tifosi mi volevano bene e io volevo bene a loro. Volevo giocare ogni partita al massimo, anche se non era sempre possibile. Volevo vincere lo scudetto, ma non per me, per loro che lo meritavano, io ne avevo già vinti in carriera. Perdemmo il campionato, ma Juventus e Roma avevano delle squadre più forti del Napoli”.
Forse con un bomber come Altobelli, Bettega, Pruzzo quel Napoli avrebbe vinto lo scudetto?
K: “Con Marchesi giocammo in un determinato modo, certo con più qualità sarebbe stato più facile per noi. Anche Maradona ebbe delle difficoltà a Napoli nella sua prima stagione. Il Napoli si classificò all’8 posto. In quel periodo il calcio italiano era il più competitivo nel mondo”.
Quale fu il difensore che più si avvicina di più al suo stile fra quelli italiani del periodo. Forse Franco Baresi?
K: “Baresi era più giovane di me, mi ricordo bene di lui. Lo vidi in un torneo a cui parteciparono Ajax, Real Madrid e Milan. Giocò in mezzo al campo ma ovviamente, come dissi a Giacomini, sapeva giocare anche da Libero. Ma a me piaceva anche Scirea, come persona e come calciatore. Quando giocavo nel Cannes, il Milan disputò un torneo con i suoi giovani e vidi Maldini. Parlai con lui e gli chiesi di salutare suo padre e lui ne rimase molto contento”.
Come valuta a distanza di anni la sua esperienza al Napoli?
K: “Mi sono trovato benissimo. Giocare a Napoli è stata una parte importantissima della mia vita calcistica. Anche a Vancouver ho giocato delle belle partite, ma l’organizzazione del calcio americano era diversa, anche i terreni erano diversi rispetto ai soliti in erba, questo cambiava anche il modo di giocare. Ovviamente oggi il calcio è cambiato anche lì “.
Due anni al Cannes. Cosa ricorda di questa nuova esperienza?
K: “Mi sono trovato bene. Era una squadra piccola con un allenatore che già
conoscevo. Era stato un calciatore internazionale, in precedenza. Mi sto riferendo a Wenger, con lui siamo grandi amici. E’ stata una bella esperienza. Non era l’ambiente di Napoli, ma credo sia l’unica località del mondo ad avere quell’ambiente passionale, forse la Catalogna anche, ma non c’è ne sono altri con quella passione e quell’amore”.
Che cosa ha significato per lei diventare allenatore?
K: “Ho fatto quello che ritenevo giusto. E’ stato difficile, ma ho cercato attraverso la mia esperienza per aiutare i calciatori anche psicologicamente. Ho vissuto belle e varie esperienze, tra Emirati Arabi, Ajax nel ruolo di assistente, Francia, Egitto, Sud Africa, Tunisia, Marocco e ho vinto, tra l’altro, anche un campionato. Poi ho deciso di fermarmi per potermi riposare”.
Quale consiglio darebbe ai giovani che vogliono avvicinarsi al calcio?
K: “Bisogna sempre lavorare duramente. Nessuno calciatore arriva ad alto livello senza lavorare duramente. Le parole non contano, servono i fatti, serve impegnarsi e non arrendersi mai”.
Roberto Valentino grazie alla sua passione per il calcio anni 60/70/80 ha un grande archivio di partite di quel periodo. Grazie a questo sta riproponendo in chiave virtuale il vostro calcio alle giovani generazioni, le quali apprezzano tantissimo. Secondo lei è un modo originale di riproporre il vostro calcio?
K: “E’ sempre una cosa positiva fare queste cose. Sicuramente è un calcio diverso, ma non si può dire che calciatori come Baresi, Maldini, Bettega, Tardelli o Scirea non giocherebbero oggi. Certamente il calcio cambia in base a quando cominci o finisci la carriera. Importante sarà sempre la base tecnica nelle partite. Anche un difensore deve sempre saper leggere le azioni durante una partita”.
Roberto Valentino sta riproponendo il vostro calcio, quello anni 60-70-80, in chiave virtuale. Moltissimi giovani seguono queste partite, e addirittura una squadra come il Como calcio, durante il COVID, ha chiesto a Valentino di fare scendere in campo un Como virtuale. La cosa fece parlare i giornali che lodarono questa cosa.
Secondo lei, perché il vostro calcio attira anche chi non vi ha mai visto giocare ?
K: “Ovviamente anche le generazioni sono cambiate. In quel periodo non c’erano computer o Play Station. Noi avevamo solamente il calcio per strada. Tutto si evolve, esattamente come i terreni di gioco oppure il modo di giocare. Il calcio si evolve, nel Napoli, ad esempio, ho giocato un altro tipo di calcio rispetto all’Ajax. L’Italia di Mancini, che ha vinto l’Europeo, ha giocato un calcio moderno. Quella che deve rimanere è la passione per il calcio”.
Roberto Valentino è conosciuto per essere un grande imitatore, uno scrittore e un autore. Ma nella sua agendina ha i numeri di Krol, Zoff, Gentile, Mazzola, Carmando. Secondo lei è dovuto alla sua grande professionalità oppure alla sua simpatia?
K: “Di lui posso dire che è una persona che sa fare tantissime cose che mi piacciono e io sono sempre molto gentile con lui”.
Ringrazio Ruud Krol per la cordialità e disponibilità.