
Luca Meringolo
L: “Durante tutta la sua carriera da giornalista e da telecronista lei è stato per tanti anni la voce della nazionale. Vedere e commentare tutte queste partite cosa le ha lasciato dentro?”
B: “Mi ha lasciato sul piano dei ricordi la consapevolezza di aver fatto un lavoro gratificante. Poter raccontare e restare all’interno del mondo sportivo è qualcosa di positivo. Ricordi quindi piacevoli, senza però dare ad essi nessuna dimensione di carattere eroico”.
L: “Si ritiene soddisfatto della sua carriera, oppure c’è qualche partita che avrebbe voluto commentare e non ha potuto?”
B:”Sono soddisfatto. In carriera ci sono stati bei momenti, in cui c’è stato il piacere di raccontare risultati positivi, altri negativi. Non sento nulla di particolarmente carente nei miei ricordi. Molti mi dicono che non ho mai potuto dire “Campioni del Mondo”, ma francamente non è qualcosa di cui mi senta particolarmente privato”.
L:” Lei ha giocato a calcio. Essere stato calciatore le ha permesso durante le telecronache di capire meglio alcune dinamiche del gioco durante le partite?”
B: “Non è indispensabile aver giocato a calcio, però averlo fatto indubbiamente ti aiuta, ti dà delle coordinate di riferimento personali che poi applichi, in cui racconti anche il calcio degli altri. Diceva Alberto Giubilo un grande telecronista dell’ippica: “Per raccontare bene l’ippicca non occorre essere un cavallo”. Quindi non occorre essere stato un giocatore di calcio per raccontare il calcio, però indubbiamente chi ha avuto qualche esperienza personale in qualche maniera è aiutato. A me molti hanno imputato il fatto di essere troppo tenero con i calciatori. Infatti io non ho mai criticato in maniera violenta un giocatore, non ho mai dato la croce addosso perché avendo provato a giocare so che quelli che spesso da fuori possono sembrare errori banali in realtà possono capitare perché il calcio è uno sport molto difficile, di contatto, devi giocare con i piedi e non con le mani. Quando uno ha esperienze personali tende ad essere più comprensivo nei confronti di coloro che fanno il calcio che poi lui racconta”.
L: Durante la sua carriera lei ha visto un sacco di Nazionali Italiane, secondo la sua opinione quale è stata la più forte?”
B: “Quella che ha giocato un calcio più bello è stata forse quella di Bearzot ma non quella che vinse il Mondiale nel 1982, quella di 4 anni prima in Argentina. Quella era una nazionale molto forte. Penso però che la Nazionale che avrebbe dovuto vincere e avrebbe meritato di vincere il Mondiale è stata quella di Italia 90, dove solo una serie di circostanze sfortunate non ha consentito alla squadra di Vicini di aggiudicarsi il titolo. Però chiaramente è molto difficile stabilire quale fosse la più forte in assoluto, anche perchè non possiamo dimenticare il fatto che l’Italia ha vinto 2 Titoli Mondiali negli anni 30 e che quella era una Nazionale fortissima”.
L: “Questa Italia di Mancini quale Nazionale del passato le ricorda?”
B: “Per la genesi che ha avuto direi che è da avvicinare a quella di Vicini, perchè in questa Nazionale di Mancini c’è subito l’inserimento, a differenza di quello che è avvenuto negli ultimi anni, di alcuni elementi giovani. Con Vicini c’è stato il passaggio di molti che erano con lui all’Under 21 poi passati nella Nazionale maggiore. Qui ci sono tanti giovani che addirittura non hanno fatto esperienza, se non qualcuno nell’Under 21. Comunque sono giovani che vengono innestati nella Nazionale maggiore e qui c’è un cammino in qualche modo parallelo alla Nazionale di Vicini”.
L: “Lei, oltre alla Nazionale ha raccontato le finali Europee delle Italiane nelle Coppe, fra tutte le squadre di club che ha visto c’è stata magari una squadra di club più di altre che l’ha colpita per la sua forza?”
B: “Quando vince una squadra italiana è sempre una soddisfazione, però direi che è stato importante il momento del Milan di Sacchi perché ha portato un modo di concepire e di vedere il Calcio Italiano diverso da parte degli altri. Prima il Calcio Italiano era considerato il calcio del catenacciari, quelli che giocavano in difesa e si affidavano al contropiede. Con quel Milan lì, ma non tanto perché era guidato da Sacchi, che aveva dentro dei giocatori straordinari. Invece le modalità di gioco della squadra erano anche, ottime e belle sul piano spettacolare, sul piano del calcio estetico. Per di più con quel Milan tornammo a vincere qualcosa in campo Internazionale dopo tantissimi anni di magra in cui non eravamo più riusciti a fare alcun risultato positivo nell’allora Coppa del Campioni. Invece da lì in avanti il Milan e poi qualche altra squadra italiana tornarono ad arrampicarsi verso il tetto del calcio Europeo. Ma quello era un Milan fortissimo che aveva dei giocatori straordinari”.
L:”Lei negli anni 70 ha raccontato la finale di Coppa delle Coppe Leeds United Milan , qualche giorno dopo il Milan perse il campionato nella “Fatal Verona”. Lei che ha commentato la finale qualche giorno prima: è stata tanto dispendiosa questa partita ed era prevedibile che il Milan perdesse il campionato?”
B:” No, non era assolutamente prevedibile e non era assolutamente previsto. Io ho fatto tutto il percorso di quel Milan, prima andando a Salonicco, poi tornando con loro in aereo e seguendoli fino alla Domenica successiva e devo dire che con noi a vedere la partita c’era anche Giusy Farina, che all’epoca era il presidente del Lanerossi Vincenza ed era amico di Rocco. Sarebbe, poi, diventato lui presidente del Milan in un periodo molto diverso. Però posso garantire che tutti i calciatori del Milan, Rocco e i dirigenti erano preoccupati perché il Vicenza nell’ultima giornata di campionato doveva andare a giocare a Novara e doveva salvarsi, altrimenti sarebbe retrocesso. Ma di quelli del Milan non c’era uno che pensava che a Verona potesse andar male, erano preoccupatissimi per le sorti del Vicenza e invece poi andò a finire così perché nel calcio non si può mai prevedere nulla”.
L: “Molti esperti e tifosi ancora oggi dibattono se sia più forte il Brasile del 1958 o quello del 1970. Per lei qual è stato più forte?”
B: “Quello del 58, nonostante la presenza di qualche calciatore straordinario in quello del 70 a cominciare da Pelè, però quello del 58 era più forte. Era anche più giovane e c’era una notevole differenza rispetto agli altri. Nel 70 non c’era e questo naturalmente sta a significare che le altre erano progredite, però francamente quel Brasile del 58 in Svezia era sopra qualsiasi possibilità di confronto. All’epoca c’erano altre formazioni molto buone, però quel Brasile stava dominando”.
L: “Parlando dell’attualità, cosa ne pensa del periodo che stanno attraversando Udinese e Torino?”
B: “L’Udinese sta attraversando un momento abbastanza difficile, dopo un cammino discutibile perché segnava poco ma accettabile, fondato soprattutto sulla forza della difesa, è incappata in due sconfitte clamorose. Ha preso 7 gol dall’Atalanta e 4 dalla Roma che hanno rimesso tutto in discussione. Poi però ha vinto la partita successiva e quindi tutto sommato sta entrando in quell’ordine di galleggiamento secondo quelle che erano le previsioni della vigilia. È chiaro che l’Udinese anni fa stava facendo una politica per prima intrapresa, cioè quella di scandagliare i campi internazionale e di arrivare prima delle altre per prendersi i giocatori più promettenti di tutto il mondo. Aveva un’organizzazione di scouting assolutamente superiore rispetto alle altre, che adesso si sono adeguate. Essendo l’Udinese una società che ha un bacino di utenza con potenzialità economiche molto relative non può più mantenere il passo degli anni passati. Adesso non appena individua un giocatore, arriva qualche altra squadra e se lo prende perché non può assolutamente sostenere i costi di un calcio così, però se la sta cavando. Il Torino è una squadra che può fare bene, ma ha un organico che non gli consente di aspirare a chissà quali traguardi. Può magari qualificarsi per l’Europa League, ma poco di più. È chiaro che, poi, ci sono situazioni in cui intervengono fattori di nervosismo legati alle pretese della piazza e della tifoseria. Il Toro nelle ultime Domeniche è venuto a mancare un po’ sul piano dei risultati, ma sta facendo quello che doveva fare”.
L: “Lei oltre a seguire il calcio, c’è qualche sport che le piace seguire?”
B: ” È inevitabile che venga ricordato perché ho fatto il telecronista di calcio, ma ho fatto anche le telecronache di tantissime altre discipline sportive. Soprattutto in occasioni delle Olimpiadi, quando eravamo in pochi e dovevamo coprire tutti gli sport. Sono particolarmente affezionato al ciclismo, mi piace moltissimo, lo seguo e ho fatto qualche telecronaca. Ma all’epoca il titolare era Adriano De Zan e naturalmente era lui il referente. Mi piacciono tutti gli sport e sono abbastanza avvilito per il fatto che la nostra atletica leggera stenti a riappropriarsi di quel ruolo di potenza internazionale che qualche anno fa aveva. Anche perché l’atletica leggera è, a giusta ragione, considerata la regina di tutte le discipline sportive. Pensaci: tutti gli altri sport si avvalgono di quelli che sono i movimenti e i gesti dell’atletica che vengono poi rivalutati attraverso un’elaborazione. Poi ci si mette d’accordo che vince chi la butta dentro un canestro o una porta di calcio, però i movimenti sono quelli dell’atletica leggera che alle Olimpiadi vengono ricordati come più alti, più forti e più veloci”.
L: “Lei oltre allo sport ha coltivato nel corso degli anni qualche altra passione in particolare?”
B: “La lettura. Se c’è un periodo della mia vita che ricordo con un certo rimpianto è quando dopo aver smesso di giocare a calcio ed essermi laureato giocando, ho insegnato per quattro anni alle Scuole Medie e devo dire che quel periodo è quello che mi ha lasciato la sensazione di fare qualcosa di veramente utile e di veramente importante. Molti mi dicono: “poi hai fatto questa carriera”, però è molto più costruttivo, molto più utile quando ti senti ti fare qualcosa di creativo. Quando prendi dei ragazzi che hanno 10/11 anni e li accompagni nel momento fondamentale per la loro crescita umana fino ai 14/15 anni. Lì fai veramente qualcosa di importante! Poi raccontare la partita di pallone magari ti fa conoscere da tante persone, ma non c’è nulla che può essere paragonato come importanza all’insegnamento”.