di Bruna Larosa
Aprire gli occhi nell’isola di Cipro. Nel primo cassetto della scrivania un passaporto europeo. Fuori dalla finestra la bandiera a fondo blu con le stelle dorate in cerchio; quella greca, origine di una invidiabile civiltà e quella a sfondo bianco con la silhouette dell’isola. Sul vessillo Cipro è rappresentata in color rame e, sotto di essa, due ramoscelli di ulivo. Entrata in vigore nel 1960, questo drappo reca in sé il desiderio di indipendenza – dopo una travagliatissima storia che l’ha vista assoggettata a più padroni – e l’ambizione della pace.
Aprire gli occhi nell’isola di Cipro. Nel primo cassetto della scrivania un passaporto nord – cipriota. Fuori dalla finestra sventola la bandiera turca, base rossa e luna e stella bianche e una bandiera a sfondo bianco con due bande rosse e le caratteristiche della bandiera turca: la falce di luna e una stella, anch’esse rosse. Entrata in vigore nel 1983 questa bandiera rappresenta la Repubblica Turca del Nord di Cipro, costituita dal desiderio di essere legati per sempre alla Turchia, madre patria.
Il turista che scende all’aeroporto internazionale di Nicosia sa che farà un viaggio tra due culture: Oriente e Occidente insieme, eppure diviso, un unico viaggio per immergersi in due civiltà. Le seducenti locandine delle agenzie di viaggio impegnate in marketing riescono a infondere un grande fascino a una realtà che è davvero divisa: un solo cuore, diviso come in natura in due ventricoli che però non possono battere in sincrono e così facendo impediscono all’organo di svolgere la sua funzione primaria: far sopravvivere il corpo.
La terza isola per estensione del Mediterraneo è oggi definita una terra in due. Nicosia, capitale segnata da un muro di dolore e da una zona verde di tolleranza, porta in sé la sciagura di essere il simbolo di una situazione geopolitica dai fragili equilibri. La composizione ufficiale della popolazione totale dell’isola è costituita dal 78% da greco ciprioti, concentrati nella zona sud dell’isola; il 18% da turco ciprioti, abitanti della Repubblica Turca del Nord di Cipro e un 4% costituito da altre entità. Il nocciolo della questione è dato dalla sfiducia reciproca tra i maggiori rappresentanti dell’isola: gli abitanti di origine greca e quelli di origine turca. Nonostante le cifre ufficiali i fenomeni dell’emigrazione e dell’immigrazione stanno determinando numerosi cambianti, tali da portare a situazioni impreviste.
In vent’anni la popolazione reale presente sull’Isola di Cipro è cambiata in maniera tale da vincolare le prospettive e da rendere inefficienti i negoziati che a breve potrebbero finire per non rispecchiare più desideri e necessità attuali. Come spesso accade il quotidiano supera le divergenze in maniera inaspettata e al tempo stesso naturale. Negli ultimi due decenni la popolazione è aumentata di 90100 unità. Bisogna poi considerare anche il numero di abitanti “stranieri” che abitano la “zona verde”, si tratta di europei e di altre popolazioni – latini, maroniti, armeni- per un totale di 196000 persone. Ma il fenomeno migratorio non è solo legale, così, per un prospetto realistico si può ipotizzare di aggiungere altre 30000 persone giunte sull’isola nei modi più disparati. I loro diritti sono vincolati alla pace sull’isola e la situazione di incertezza mette a disagio tutti poiché la pace e la prosperità vivono basandosi su un precario equilibrio.
Alcuni, proprio all’interno dell’isola, ritengono che i fenomeni migratori possano essere una vera e propria strategia turca, un’invasione silenziosa quanto significativa e al tempo stesso un modo per indebolire la popolazione greco cipriota, sempre più isolata. E i venti lieti che accarezzano i turisti potrebbero ben trasformarsi in gelidi venti di guerra. I turco ciprioti attualmente sono quasi il 10% della popolazione, mentre le stime ufficiali ancora parlano del 18%. Aumentati in maniera esponenziale però i Turchi provenienti dalla madre patria che qui prendono il nome di coloni. Loro potrebbero fomentare dei colpi di Stato: hanno vivo l’ardore che si respira nella loro terra e la consapevolezza e l’abnegazione che già in molti nel loro stesso popolo hanno dimostrato portando distruzione altrove ed ergendosi a martiri.
Tra le strade della Cipro divisa chi rimane nel mezzo non pensa certo di trovarsi nel paradiso che i turisti immaginano, si trovano nell’inferno di chi si vede negato tutto, anche il diritto di esistere, di avere un proprio nome, una data di nascita e da qui di poter usufruire di tutti i diritti fondamentali. Una situazione difficile da cogliere. Qualunque ricerca on-line dedicata alla condizione cipriota dà come primo risultato “benessere”. È solo cominciando a far emergere testimonianze, incrociando i dati e la storia recente che vengono fuori altre verità. Cipro, oggi in un’ascesa economica che cancella i problemi della crisi di solo qualche anno fa, diventa meta del turismo sessuale con una solida capacità di attrarre e riciclare denaro. Un ambiente ideale in cui criminalità può proporre traffici. Intanto, il problema più grande di Cipro, si alimenta dell’odio mal celato tra le due etnie dominanti e con loro cresce soffocando tutte le altre realtà, tutti i veri volti della Cipro più cruda.
Una situazione straziante già di suo, ma cosa significa questo internamente? Ufficialmente la ripresa economica di questa realtà sembra rispondere a qualunque esigenza di chiarimento. Ma i dubbi rimangono quando ci si sofferma a pensare a coloro che vivono Cipro come clandestini, persone che abitano e lavorano in nero portando avanti un’esistenza al limite e che possono sperare di andare via solo muovendosi nell’illegalità.
Ci sono persone che non esistono e la cosa è quanto mai pesante da accettare. Sono gli uomini e le donne che si prestano ai lavori più degradanti, che finiscono nei vortici della malavita e che non appartengono a nessuna delle due etnie imperanti. Non esistono perché non si vuole che esistano, probabilmente perché in un quadro già così fragile una terza frammentazione porterebbe ad un puzzle ancor più difficile da ricostruire. I ciprioti senza identità a volte appartengono a un’etnia specifica. Altre volte non sanno neanche quale sia il popolo da cui discendono perché abbandonati da piccoli e immigrati di seconda o addirittura terza generazione. E sebbene gli equilibri geopolitici sembrano non sapere della loro esistenza, eppure in caso di conflitto potrebbero fare la differenza schierandosi da una parte o dall’altra.
A dare validità a un’inchiesta che voglia focalizzarsi su “altri” rispetto alla questione cipriota anche un documento ufficiale: un’interrogazione parlamentare posta in Europa nella quale si chiede conto della condizione delle altre etnie presenti sull’isola. In risposta a tale domanda, posta per proporre una riflessione sulla popolazione cipriota nel 2012, all’indomani del censimento che smentiva le stime ufficiali che ancora si trovano in rete, si legge per tutta risposta che: “La Commissione non è in grado di valutare la qualità né di commentare i risultati del censimento effettuato il 4 dicembre 2011, cui fanno riferimento gli onorevoli parlamentari. Per quanto riguarda le altre questioni citate nell’interrogazione, esse sono soggette ai negoziati in corso su una soluzione globale di Cipro sotto l’egida delle Nazioni Unite. La Commissione ha ripetutamente invitato i leader di entrambe le comunità a Cipro a cogliere l’opportunità dei colloqui in corso per raggiungere un accordo globale”.
Ancora una volta e in una contemporaneità che, grazie all’apporto di internet, ci fa vivere come vicine realtà sempre più crude, nel Mediterraneo c’è una popolazione che soffre e sembra non trovare spazio, soffocata e superata addirittura dalle fake news, per cui in pochi conoscono i suoi diritti negati.
Politicamente qualcosa si tenta di fare praticamente da sempre. La linea del tempo che ha visto come scenario Cipro diventa considerevolmente pesante per gli equilibri moderni nel 1946 quando la colonia Gran Bretagna comincia a parlare di indipendenza per l’isola. Già allora si sono scatenate le prime tensioni che poi, nel 1963, a tre anni della proclamazione della Repubblica di Cipro, sono degenerate in violenza tra le due etnie. Nel 1964 l’intervento dell’Onu che invia un contingente per la pace e dieci anni dopo la costruzione del muro che ancora oggi divide in due un’unica isola.
Ultimo tentativo di pace quello per cui si è discusso in Svizzera alla presenza della Gran Bretagna che ha ancora delle basi militari sull’isola si è concluso con un nulla di fatto nel 2017 dopo tre anni di trattative che avevano fatto anche ben sperare. Unico risultato raggiunto nel corso del tempo resta quello di Annan, che ebbe il merito di essere arrivato a delle votazioni – un referendum in contemporanea in entrambe le zone – sebbene non riuscì a raggiungere il cambiamento auspicato.
Ma cosa significa questo per chi vive Cipro come cittadino e abitante? Una riduzione dei diritti, una catalogazione in due etnie che sembrano così simili eppure “devono” essere diverse, forse per far raggiungere degli obiettivi che potrebbero anche non essere i loro, ma che rispondono a interessi “altri”.
Scende la sera nell’Isola di Cipro. La popolazione legata alla Turchia sogna un governo federale a base paritaria, un contingente militare di difesa e la possibilità che la Turchia possa intervenire sul territorio in caso di angherie contro di loro. Dalla madre patria, arrivano moltissimi immigrati, molti dei quali radicali, e comunque capaci con la loro sola presenza di capovolgere le sorti, ad esempio, di un nuovo eventuale referendum, qualora si accordasse per loro la partecipazione alle votazioni. Ma hanno abitudini, storia e visioni del mondo differenti dai turco ciprioti che in loro non si riconoscono più. Sono altro. Così gli isolani sanno di poter richiedere i documenti europei e, con quelli, scelgono di andar via.
Scende la sera sull’Isola di Cipro. La popolazione greco cipriota vuole il ritiro dell’esercito turco, la non ingerenza della Turchia e un governo che sia uno specchio della composizione ufficiale della popolazione. La storia racconta dei raccapriccianti genocidi che sono stati perpetrati nei confronti dei greci da parte dei turchi, i greco ciprioti non vogliono allungare quelle liste di nomi. Vogliono essere altro. Aprono il primo cassetto della loro scrivania, prendono il passaporto europeo, partono.
Mediterraneo, mare di fuga. Proprio la consapevolezza della propria storia e l’esistenza della morsa di Ankara fanno sì che la popolazione greco cipriota ricorra all’emigrazione, legale o meno, per poter avere più serene prospettive di vita. Un fenomeno sempre più di massa, per una popolazione vittima anche dell’indifferenza dei media. E coloro che non appartengono alle etnie dominanti? Anche loro abbandonano questa terra, invisibili a una politica che ha bisogno di definizioni e non di sfumature.
Negati i diritti dei greco ciprioti. Negati i diritti dei turco ciprioti. Negati i diritti per tutti coloro che legalmente o illegalmente si trovano sull’isola. Ma perché?
Cipro è una meravigliosa isola, e probabilmente proprio questa sua caratteristica fisica la rende tanto preziosa agli occhi dei turchi. Situata a 70 chilometri dalla penisola anatolica e a 100 chilometri dall’Oriente gode di una posizione privilegiata per esercitare un’azione di controllo sul Mediterraneo. Di qui passano le flotte navali, ad esempio. Senza dimenticare le alte possibilità di trovare giacimenti e riserve di gas, vero e proprio tesoro della contemporaneità, soprattutto stando agli studi che hanno identificato nel triangolo fra Kyrenia, Iskederun e Mersin alte probabilità di giacimenti.
L’unificazione di Cipro è ancora lontana: motivi economici e politici la osteggiano con conseguenze anche per l’Unione Europea e i fenomeni migratori finiranno per incidere fortemente sulle prospettive e sulle possibilità che questa si realizzi nel migliore dei modi auspicabili. Le isole greche sono parte integrante e riconosciuta dell’Unione, un attacco ad esse da parte della Turchia corrisponderebbe a un attacco alla stessa Istituzione Europa. Cipro può essere un punto strategico di movimento e un’ottima base d’azione per la Turchia che vuole espandersi e tornare il grande impero che era. Una situazione che non può lasciare indifferenti e che apre le porte a un’instabilità politica e istituzionale che minaccia la pace nel Mediterraneo.