di Luca Meringolo
D. “Come si è avvicinato al mondo del giornalismo sportivo?”
M: “Ho sempre seguito il calcio e l’ho anche praticato. Avevo il sogno di fare il radiocronista/telecronista e giocavo con gli amici a fare le radiocronache o al computer o con il subbuteo. A casa nella mia fantasia facevo le sfide di campionato e di Coppa dei Campioni. Poi mi sono laureato verso la fine degli anni 90 e ho iniziato a fare il corso di Michele Plastino e mi appassionai molto, anche perché si trattava di un corso molto bello. Durante una prova di laboratorio mi disse che avevo delle potenzialità. Lui mi fece esordire a fare le radiocronache nell’anno dello scudetto della Roma nel 2000/01 per T9. Nel frattempo facevo gavetta nelle redazioni qui a Roma. Ricordo che rinunciai ad una proposta di lavoro presso una banca perché volevo fare questo lavoro. I primi anni non venivo pagato e mi mantenevo facendo un altro lavoro. Poi nel giro di poco tempo sono riuscito ad entrare in questo mondo”.
D. “Che differenze ci sono tra il mondo della radio e quello della televisione?”
M:”Tante, la televisione è una macchina di lavoro più lunga e complessa. Devi farti aiutare dalle immagini, devi avere tante piccole accortezze. La radio invece è voce e parola, è un mezzo più veloce, però devi essere portato perchè fare il telecronista è diverso da fare il radiocronista. Sono modi di raccontare completamente diversi. Io sono stato fortunato a farli entrambi. Nella radio devi avere una dizione pulita e parlare molto, devi fare compagnia continuamente, mentre nella televisione bisogna essere di supporto alle immagini”.
D. “Lei ha lavorato per 12 anni (dal 2006 al 2018) a Mediaset Premium. Qual è stata la partita più bella che ha mai narrato?”
M:” È difficile dare una risposta, ne ho raccontate veramente tante tra Serie A, Serie B, Champions ed Europa League. Mi ricordo le prime partite con il Barcellona in Champions di Messi, ricordo anche che ho raccontato qualche derby di Roma. La Champions soprattutto è bellissima da raccontare, sono affezionato molto alla prima che ho narrato nel 2006 ed era un Psv-Liverpool e la feci da studio. In quel momento sentivo che si stava realizzando un sogno”.
D. “Come si è sentito mentre veniva catapultato in una grande azienda come Mediaset?”
M: “Passare dal locale a Mediaset è stata sicuramente una bellissima esperienza. Nel locale ho scelto sempre di mantenermi neutro tra Roma e Lazio. A Mediaset ho stretto rapporti molto belli, soprattutto con uno dei miei maestri, Sadro Piccinini, il quale mi ha insegnato tantissimo. È una persona umana con un grandissimo spessore, è difficile trovare persone con questa caratura e a lui aggiungo anche Paolo Ziliani perché ho costruito con loro due dei bellissimi rapporti che ancora oggi proseguono. Ricordo che grazie a Paolo Ziliani ho avuto la possibilità di fare il programma “La tribù del calcio” che poi mi ha portato anche a scrivere un libro. Quell’esperienza per me ha rappresentato il completamento di un percorso professionale.
D. “Lei ha una passione per i motori e per la bicicletta. Come ce la può descrivere ?”
“Si, ho passione per la bicicletta, vado anche a correre. Mi piace praticare lo sport! Il ciclismo mi è sempre piaciuto, una passione che si è tramandata da mio padre a me. Lui segue tutti gli sport e mi ha sempre coinvolto: appassionato di motori mi faceva vedere tutta la F1 e la Moto Gp. All’età di 11/12 anni ho iniziato ad andare in bici con lui e poi me la sono portata sempre dietro. Mi piace anche giocare a calcetto”.
D. “Nella sua professione è difficile conciliare il lavoro con la vita privata?”
“Tantissimo, è un lavoro con il quale non è facile conciliare la vita privata. Devi anche trovare una compagna di vita, quella giusta che capisca le varie situazioni. Questo è un lavoro che ti assorbe completamente, anche quando sei a casa”.
D. “Che consiglio darebbe ai giovani che vogliono intraprendere la carriera del giornalista sportivo?”
“Provarci, ma crearsi sempre una strada alternativa. È importante non lasciare nulla al caso. È un lavoro dove purtroppo si nota spesso poca qualità e poca attenzione alla meritocrazia”.
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