Di Luca Meringolo
Giornalista e scrittore, Roberto Beccantini è la penna che ha immortalato alcune tra le più belle manifestazioni sportive degli ultimi anni. Con noi parla delle sue esperienze nel mondo del calcio, del basket e di un giornalismo che cambia, giorno dopo giorno.
Come si è avvicinato al mondo del giornalismo?
«Sono nato a Bologna il 20 dicembre 1950 e tutto proprio a Bologna è cominciato. Papà conosceva l’allora presidente della Federbaseball che mi presentò a Gianfranco Civolani, corrispondente di «Tuttosport». Cercava un «galoppino» (ragazzo di bottega, ndr), il presidente gli fece il mio nome, Civolani mi telefonò e così il 7 giugno 1966, a quindici anni e mezzo, ebbi l’onore di scrivere, per le pagine del quotidiano torinese, una decina di righe più tabellino su una partita di baseball di serie B. Civolani, il mio primo, grande maestro, me le fece addirittura siglare: «r. b.», le mie iniziali. Fu come toccare il cielo con un dito».
In che modo è cambiata la sua vita da giornalista soprattutto con l’avvento delle Tv private?
«Non è cambiata. Ho fatto esperienze televisive, sì, ma nessuna mi ha trasmesso il “sacro fuoco” della parola scritta. Un alibi d’amore che nasconde una sconfitta? Non lo escludo. Certo, l’invasione televisiva ha moltiplicato la concorrenza, scenario che ho sempre cercato di trasformare in benzina, in stimolo».
Lei è appassionato di calcio, basket e atletica, potrebbe dirmi qual è la partita sia di calcio che di basket più bella che lei abbia mai visto?
«La partita di calcio è stata Italia-Brasile 3-2 del Mundial 1982, seguita dalla finale di Champions di Istanbul 2005, Milan-Liverpool 3-0 poi 3-3 poi rigori e vittoria dei Reds. Quanto al basket, su tutte la finale olimpica del 1972, a Monaco di Baviera, quella tra Urss e Usa decisa dai famosi e famigerati tre secondi che William Jones, il Blatter della pallacanestro, fece ripetere finché Alekxandr Belov non segnò il canestro decisivo».
A quale gara di atletica da spettatore è più legato?
«Al successo di Pietro Mennea sui 200 metri all’Olimpiade di Mosca 1980. Non c’erano gli statunitensi ma, nel mio piccolissimo, c’ero io».
Lei è stato il giurato italiano del Pallone d’oro, potrebbe dire a quale pallone d’oro è particolarmente affezionato?
«Non a uno in particolare. A tanti. Ho sempre considerato il ruolo di giurato un privilegio, una grande fortuna. Tenga presente che fino al 1995 si poteva pescare solo tra i giocatori europei o, al massimo, tra gli oriundi (come, per esempio, il Sivori del 1961). E anche per questo, nel 1986, soffrii molto – al pari di Sergio Di Cesare, il collega con il quale dividevo il voto – di non poter incoronare Diego Armando Maradona».
Che cos’è per lei la Juventus?
«Diventai juventino per colpa o per merito di Omar Sivori, che arrivò nell’estate del 1957. La Juventus, per me, è stata e rimane una compagna di viaggio e di lavoro, una passione che cerco sempre di dominare nel momento in cui devo trattarla in chiave rigorosamente giornalistica. Ai lettori l’ardua sentenza sul se, come e quanto sia riuscito nell’intento».
Quali consigli darebbe ai giovani che voglio intraprendere la sua carriera?
«Di essere curiosi, di leggere il più possibile. Di tutto, non solo di sport. E di tenere sempre pronta una soluzione B, visto che i tempi sono cambiati e il mercato è crollato. Più efficaci, rispetto a un secolo fa, sono solo gli strumenti tecnologici che permettono a tutti gli aspiranti cronisti di poter gareggiare con i depositari del posto fisso. Non avevo ancora 20 anni quando, il 20 agosto 1970, «Tuttosport» mi assunse come responsabile della rubrica pallacanestro. Se ne era andato il titolare, Zelio Zucchi, cercavano un sostituto. Civolani fece il mio nome. Mi trasferii da Bologna a Torino, appena iscritto a Scienze Politiche (che poi, colpevolmente, abbandonai). Oggi, a parità di tutto, ricorrerebbero a una soluzione interna. Ecco perché ai giovani che amano il giornalismo, e sono tanti, suggerisco di sognare a occhi apertissimi, con un’alternativa a portata di mano. Il web è una sterminata “redazione” che ha allargato i desideri ma non le assunzioni. Io, ripeto, ebbi una fortuna sfacciata».
Ph. Internet