Cenerentola al teatro, aperta la stagione lirico-sinfonica del Rendano
La Cenerentola rossiniana ha inaugurato la 56ma stagione lirico-sinfonica del “Rendano”, ben duecento anni dopo la sua prima rappresentazione, avvenuta il 25 gennaio 1817, al Teatro Valle di Roma. L’emozione dietro le quinte è tangibile: attori internazionali e tecnici di spessore, tutti riuniti per la riuscita sulle quinte di un’opera che intende anche essere un omaggio a Lele Luzzati, nel decimo anniversario della sua scomparsa. Proprio per questo il regista Aldo Tarabella ha riunito i “discepoli” di Luzzati. Da Enrico Musenich, che ha firmato le scenografie originali dello spettacolo, costruite e dipinte dallo scenografo-costruttore Elio Sanzogni, alla storica Sartoria Cerratelli di via della Pergola a Firenze, che ha dato nuova vita teatrale, con un delicatissimo e appassionato restauro, a quei costumi di Luzzati appartenuti allo storico allestimento del Teatro Margherita di Genova del 1978, che Tarabella ha voluto ricostruire pari pari. Persino le parrucche, di Mario Audello, sono quelle originali dell’allestimento genovese.
Ma dietro le quinte sono state tante anche le professionalità locali che si sono distinte, tra le altre anche le ragazze della sartoria, allieve dell’Accademia New Style, ente di formazione nel campo della moda e del design, fondata a Cosenza nel 1997 e oggi capace di formare le ragazze e di introdurle in un contesto come quello del costumismo teatrale mentre sono ancora in corso, per l’alta formazione che hanno ricevuto.
Apprezzabile l’apporto dell’Orchestra del Rendano, affidata in questa occasione ad una bacchetta importante come Marco Balderi, cresciuto alla corte di fior fior di direttori come Abbado, Chailly, Giulini e Von Karajan. Anche gli interventi del Coro, il “Francesco Cilea”, diretto da Bruno Tirotta, hanno conferito robustezza e vigoria espressiva alle scene d’insieme. Il mezzosoprano Paola Gardina, che proprio per “Cenerentola” aveva vinto nel 2003 il prestigioso concorso “Toti Dal Monte” , ma per il ruolo di Tisbe, ora che veste i panni della protagonista, ha il giusto pathos, nei momenti più sofferti (“Sempre fra la cenere dovrò restar”) o quando subisce le mortificazioni di Don Magnifico (“Vilissima, di una educazione bassissima. Va in cucina la polvere a spazzar!). I suoi numeri vocali escono alla distanza e raggiungono vette importanti in “Nacqui all’affanno”, il rondò finale di Cenerentola, quando il trionfo della bontà si è compiuto e la ruota ha cominciato a girare in suo favore dopo aver fatto breccia nel cuore del Principe Don Ramiro (il tenore cinese Li Biao).
Bene le altre voci: il baritono Clemente Antonio Daliotti (Don Magnifico) al quale contende la ribalta l’efficace Pablo Ruiz (Dandini, il cameriere che prende il posto di Don Ramiro), specie nel duetto con Don Magnifico “Un segreto d’importanza”. Non è da meno, anche per un’adeguata presenza scenica, l’altra voce baritonale di Matteo D’Apolito. Più che credibile il suo Alidoro, maestro di Don Ramiro, che è il deus ex machina ditutta l’azione ed artefice dello scambio di persona tra il principe e il suo servitore. Una menzione a parte meritano il soprano Giulia Perusi e il mezzosoprano Isabel De Paoli che restituiscono rispettivamente un bel ritratto, buffo al punto giusto, con movenze sceniche azzeccate, delle due sorellastre Clorinda e Tisbe.